L'aspettativa | Roberto Franzoni - Scrittore Viareggio
3604
post-template-default,single,single-post,postid-3604,single-format-standard,qode-quick-links-1.0,ajax_fade,page_not_loaded,,qode-title-hidden,qode-theme-ver-11.1,qode-theme-bridge,wpb-js-composer js-comp-ver-5.0.1,vc_responsive
l'aspettativa

L’aspettativa

Roberto Franzoni

L’ ASPETTATIVA

«Non sono convinta papà». «Se ti piace venire in barca con me, Laura, ti piacerà fare un corso di vela per conto tuo, con altri ragazzi, in una comunità di gente concentrata e motivata allo sport».
«Sì, vabbè, ma devo stare sola due settimane e viaggiare sola per la prima volta».
«È una buona occasione per crescere figliola».
Mio padre, il severo “signor Preside”, il mio faro nella notte, il mio skipper, mi lanciava in mezzo al mare, ad affrontare la mia prima prova di viaggio, di vacanza, ma soprattutto di confronto solitario con un’esperienza totalizzante, reclusa su un’isola in mezzo a un manipolo di sconosciuti. Ci saranno altre ragazze? E quante? E ragazzi? Già, i ragazzi. A scuola ho tanti amici, ma non ho ancora avuto un flirt. Importante, voglio dire. La prospettiva di questa esperienza mi spaventa e mi entusiasma, anzi mi eccita, allo stesso tempo. Ho paure e aspettative, ma non so in che proporzione. Parto con il cuore in accelerazione come quello di un navigatore solitario verso il mare aperto. In mezzo agli eterogenei passeggeri del traghetto da Genova alla Sardegna tra volti da pastori, facce di corpulenti camionisti e pallidi turisti tedeschi dell’estate ’66, scruto quelli che potrebbero essere i miei compagni di avventura. Individuo alcuni, vestiti quasi mascherati da “marinai”, con magliette
a righe bianche e blu, buffi cappellini di lana blu con pon-pon rosso, stivali di gomma gialli. Saranno loro. Mi sento a disagio, perché sono vestita da spiaggia, con le infradito e una maglietta rosa. Nessuno mi rivolge la parola, e non riesco a trovare la spinta per attaccare bottone, nemmeno con quel “marinaio” alto, coi boccoli, che legge un libro in un angolo del bar della nave. E che mi piace. Almeno… All’imbarco per l’isola la piccola folla di allievi prende il suo contorno. Ai “marinai” della nave si mescolano altri e, per fortuna, altre, provenienti da Civitavecchia. «Ciao, sono Edo. Ti ho visto sulla nave. Come mai sei vestita da spiaggia? Dove credi di andare?».
Arrossisco, lo sento. Lo odio, non lui. Arrossire.

«Sono Laura. Ehm… non mi sono ancora travestita» e intanto lo scruto con occhio indagatore più da vicino, molto vicino. Non ha neanche un brufolo, ma dei bellissimi boccoli, quasi dorati, acconciati dal vento, che mi piacciono da morire, e un naso importante, già da uomo, adeguato a
“sentire” il vento, come dice il mio papà. Sul barcone Laura stava sbirciando, senza farsi accorgere, quei boccoli che il vento continuava a
scompigliargli, mentre Edo, più spavaldamente del suo usuale modo di fare e di essere, si sporgeva a prua per darsi un contegno da marinaio già esperto, non solo travestito, come fosse comandato all’avvistamento dell’approdo sull’isola, dove sarebbero rimasti senza contatti con l’esterno, in una segregazione monastica dedicata allo sport e alla conoscenza reciproca.
Si erano entrambi inconsapevolmente piaciuti a colpo d’occhio in banchina quando, in mezzo al gruppetto di una trentina di altri partecipanti, ciascuno cercava di incrociare un altro sguardo d’intesa, di disponibilità. Il corso era un’avventura, un salto di due settimane in un buio di orari,
d’impegni fisici, di lotta con mare e vento, di lezioni, di rapporti emotivi in mezzo a una cinquantina di sconosciuti. La solidarietà si sarebbe rivelata un primario strumento di sopravvivenza, ancor più del salvagente obbligatorio, in un clima duro tra il militaresco e il goliardico, cui Laura non era né adusa, né incline. Sbarcati sull’isola i “marinai” con relativo sacco di tela grezza e gli altri con borsoni e valigie,
sprezzantemente bollati come “vacanzieri”, tra cui Laura, presero alloggio nei dormitori suddivisi tra maschi e femmine.
«Siamo solo quattro ragazze tra più di venti maschi. Sarà dura… », commentai ad alta voce aprendo
la valigia e cercando di sistemare ordinatamente le mie cose, come a casa. «In che senso? – chiese Paola, la più grande di noi quattro, intorno ai trenta – resistere agli assalti?».

«No, non intendevo quello – dissi – mi riferivo al clima da caserma che s’è già intuito fin dallo

sbarco. Risatine, sfottò, parolacce, mancava solo una manata sul sedere. L’unico che sembra gentile

è quello alto con i boccoli dorati».

«Ho visto che lo guardavi sul barcone» sottolineò Paola, con un lampo di malizia.

«Che occhio! Sei sempre così attenta alla gente che ti sta intorno?» domandai indispettita. Ma avrei

voluto risponderle «… e farti gli affari tuoi… ?».

Alla mensa serale le quattro ragazze furono contese da ciascun tavolo.

«Almeno distribuitevi» urlò una specie di nostromo con barba e coltellino appeso al collo con una

cimetta rossa. Laura si trovò un po’ per caso, un po’ per scelta, un po’ per una complice spinta di

Paola, seduta accanto a Edo. La cena, pur semplice, soddisfaceva bocche affamate, per lo più

giovani.

«Che scuola fai?» banalizzò Edo con una delle domande più elementari del repertorio di abbordo,

con l’evidente intento di conoscere la mia età.

«La seconda liceo classico», risposi lentamente, arricciandomi intorno all’indice una ciocca di

capelli, senza fare in tempo a ribattere “E tu?”

«Io sono matricola d’ingegneria civile», rispose lui prontamente con leggera prosopopea e uno

sguardo tra ironico e sarcastico che m’incasellava come “più piccola”.

La differenza d’età a suo favore mi dava una sorta di sicurezza. Contavo su di lui per avere una,

anzi due belle spalle più larghe delle mie cui appoggiami quando avessi momenti di difficoltà

tecnica, soffrissi di sconforto dell’anima, patissi di solitudine nel gruppo.

Dopo cena, con le ultime luci del lungo giorno di fine giugno il gruppo si trovò sulla terrazza che

guardava a ponente, in faccia al vento poderoso che soffiava sempre sull’isola e al tramonto cui

Laura non rinunciava mai. Edo si divideva tra il desiderio crescente di indagare quello sguardo

ingenuo, schietto e fiero allo stesso tempo e la voglia di socializzare con gli altri maschi del corso.

Le prime uscite in mare furono più che impegnative. Il vento soffiava rabbioso e le scuffie erano

all’ordine del minuto. Le ragazze venivano distribuite una per barca, come ai pasti lo erano una per

tavolo, ruotando in un sistema che puntava a far stare tutti con tutti. Solo una volta gli istruttori

combinarono un equipaggio tutto femminile. Ma occorreva un quinto ed Edo si propose con

slancio. I loro sguardi si avvilupparono in quell’occasione più intensi e complici che mai, gli occhi

benevoli e preveggenti di Paola posati sulle chiome dei due.

In pochi giorni, quando il caso dei turni consentiva di trovarsi in due sulla barca piccola, le loro

mani s’intrecciarono intorno alle scotte e sulla barra del timone, i capelli si confusero con i

bernoccoli provocati dal boma nelle strambate e le labbra salate si espressero nei sorrisi più dolci

che si potessero immaginare.

Solo dopo la prima settimana l’incontro era diventato storia. Alla sera dopo cena, fuggendo dalla

terrazza e confondendosi col buio della notte, le loro labbra ancora salate si toccarono per

sperimentare la languidezza delle lingue, tra i cespugli della macchia mediterranea odorosa, al

riparo dalla luce quasi abbagliante della luna crescente, poi piena, poi calante.

Con tutta la spudoratezza degli adolescenti non vedevano, non sentivano, non percepivano il

brontolio dei responsabili della scuola, che non accettavano di buon grado relazioni extra-sportive,

foriere di distrazioni, potenzialmente pericolose per l’applicazione della disciplina velica, ma

soprattutto di quella morale.

Entrambi appassionati lettori di poesia, bisbigliavano a memoria, “I ragazzi che si amano” di

Jacques Prévert, pubblicata pochi anni prima, scambiandosi la voce,

«I ragazzi che si amano si baciano in piedi…», «…E i passanti che passano li segnano a dito…»,

«…Ed è la loro ombra soltanto che trema nella notte», «Stimolando la rabbia dei passanti…»,

«…Essi sono altrove molto più lontano della notte…», e all’unisono «Nell’abbagliante splendore

del loro primo amore».

«Tu eri già andato in vela?»

«Sì, ho fatto anche delle regate. Tu?»

«Mio padre ha una barca, mi porta spesso. È lui che mi ha convinto a venire qui. Per fortuna…»

«Io volevo migliorare le mie conoscenze. Ho ascoltato il consiglio di un amico. Per fortuna…».

I loro corpi erano sempre infagottati nelle cerate, costretti nei salvagenti e neppure la notte, troppo

fresca e ventosa, i cespugli, troppo ispidi e spinosi e le rocce troppo aguzze e taglienti permettevano

di liberare la pelle dalla protezione dei vestiti, consentendo un avvicinamento più intenso. Il

desiderio crebbe raggiungendo la forza del Ponente, che sibilando s’insinuava in ogni anfratto delle

costruzioni, dei cespugli, delle cerate, dei cuori.

Decisero alla fine del corso di prolungare il soggiorno in Sardegna, per dedicarsi solo a se stessi e

alla ricerca di ciò che non avevano potuto né saputo ancora trovare.

«Allora, andiamo in albergo?» mormorai, tormentando quella ciocca di capelli.

«Due notti. Ti va bene?» propose Edo guardandomi titubante, cercando nell’incrocio degli sguardi

la mia complicità solidale.

«Spero che a casa non abbiano niente da obiettare… – gli dissi – i miei, mio padre, sono un po’

rigidi… dirò che resto altri due giorni con un’amica conosciuta al corso e mi auguro che se la

bevano… ».

Prima di entrare in quel piccolo albergo, semplice e spoglio come la scuola di vela, gli sussurrai a

mezza voce, ma con fermezza, agganciando i suoi occhi «mi rispetterai, Edo?».

«Sono vergine anch’io», ribatté sostenendo il mio sguardo sbattendo le palpebre, incerto se mettersi

a pari con me o rassicurarmi.

Fecero di due giorni due notti, ondeggiando le lenzuola come il mare che avevano affrontato per

due settimane, mosse da quel Ponente di passione. Esplorarono nei loro corpi gli anfratti, le

insenature, i promontori, le pianure, le colline come antichi navigatori alla ricerca di nuove terre.

Edo rispettò Laura. Laura si pentì di aver posto la domanda. Da quei boccoli ribelli scomposti dal

vento non si aspettava del riguardo.

Avrebbe dovuto aspettare ancora.

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.